Romano Boccadoro. San Benedetto Po classe 1958, ricicla oggetti di ogni tipo, li manipola, li dipinge, li trasforma, gli cambia di significato.
«Il silenzio operoso di un poeta totale – scrive Renzo Margonari, artista e critico d’arte, amico di Boccadoro – Romano Boccadoro partecipando idealmente, alla dimensione culturale europea, soffrendo lo stesso isolamento dei predecessori, una separatezza apparentemente invincibile, nel cuore profondo della provincia più aliena. Per contrappasso, la solitudine favorisce meditazione e concentrazione: non sedendo e mirando sterminati silenzi, ma cercando alacremente di far passare oltre la siepe sussurri e grida. Stando ai dipinti, Romano è un ottimo pittore, ma la sua speculazione estetica è solo marginalmente pittorica. Si esplica prevalentemente con la desemantizzazione del libro, utilizzato come scrigno polisensuale, simbolo centrale nelle sue installazioni che stanno tra scrittura e oggettualità».
Il libro, murato vivo, bloccato, catafratto, diventa tabernacolo, oracolo, reliquario, riletto e illeggibile, ma l’intenzione dell’autore è salvifica e restitutiva. I suoi pensieri trapassano la funzionalità degli oggetti e la tensione dei sentimenti accumula, distribuisce, restaura, ricicla, rende nuova vita a cose morte o scadute, relitti anche preziosi, inseguendo lo scopo narrativo; gli ispirano un concetto, un’articolazione poetica. Alcune opere sono concepite per autodistruggersi lentamente. “È come la vita”, dice. Tiene in sospeso il pensiero a cui dare un’immagine tattile e visuale, ricombina i significati, facendone complessi montaggi che richiedono lunghe elaborazioni. Molti di questi lavori intermediali permangono annosi in attesa di un intervento conclusivo. Sono realizzazioni complesse, dispendiose, spesso faticose, che obbligano il poeta a mettere a buon partito i suoi studi interrotti.
Poesia, pittura, collage, conservazione, assemblaggio, accumulo, stratificazione. Fanno parte del linguaggio espressivo di Romano Boccadoro che come un “Trovaroba” (termine con cui egli stesso ama definirsi) va incontro al reale per utilizzarlo in tutte le sue forme e materiali. L’artista intende l’opera come puro atto estetico, come possibilità di ridare vita all’ammasso sempre più incontrollabile dei materiali che la società moderna scarta e accumula.
Nel suo lavoro si intrecciano così oggetti che hanno già alle loro spalle un vissuto. In questo intreccio, in questo concatenarsi di forme e di segni, di vissuti diversi, di brevi versi poetici si fa l’opera. Romano cerca di uscire dalle strette regole della pittura, della scultura e della poesia per aprirsi alle infinite possibilità estetiche che gli eventi della vita quotidiana offrono. Ecco quindi nascere opere come: “Vasi-Crisalide”, “testa di Keith”, “Libri scultura”, “Sculture bambine”, o “Paesaggi umani” dove ogni elemento, assemblato e posto in relazione con altri, riprende a funzionare secondo la logica dell’arte.
Nei “Libri scultura”, studia i legami che intercorrono fra libri e oggetti. I primi in quanto contenitori di parole e versi poetici, i secondi come rivelatori d’immagine. Con questa formula riesce a porre i due termini, parola e immagine, in relazione in un unico contesto. Interrogandosi sulle possibilità che essi assumono in tale rapporto, inglobati nella struttura stessa dell’opera, sottolineano quindi la valenza, non solo linguistica ma anche estetico-formale, della struttura poetica. Nella serie denominata “Pittura da viaggio” gli oggetti (in questo caso gli zaini) sono assunti dall’artista come materiali utili e necessari alla propria ricerca compositiva e pittorica. Diversamente dal Dada storico gli oggetti che preleva dalla vita reale non sono semplicemente decontestualizzati e presentati. Vengono anche manipolati, come fossero rigenerati dall’intervento sensuale ed emotivo della pittura.
La funzione di quest’ultima è infatti ben più che decorativa. Si configura come un magico legante capace di ancorare, trattenere ed esaltare l’unica struttura che è l’opera. Anche la casualità e il non senso, così come il gioco, hanno una loro logica in grado di arricchire l’arte e la poetica di Romano. Ben evidente in un’opera come “Pinocchio”, non definibile quadro ma neppure oggetto, è piuttosto una struttura. Un congegno costituito da un assemblaggio di rottami e materiali di recupero, che sottolineano l’effimera celebrazione del mito della macchina nella società moderna. L’azione di Romano Boccadoro senza giungere ad un’aperta denuncia mira a stimolare con le armi del paradosso e dell’ironia. Il senso critico dello spettatore nei confronti del proprio modo di vivere e percepire la realtà quotidiana.